Archives for category: 1980s rock

Doc Indie-MEI DEF_easy

Le mie prime fantasie erotiche-musicali – come dottore mi verrebbe scientificamente impossibile parlare di vere e proprie pulsioni – risalgono all’estate del 1980. Seguendo la combriccola dei più grandi e il suoi gusti, mi innamorai a prima vista della Kate Bush “guerriera” del videoclip di Babooshka.

Babooshka cover

Quella musica, agghindata visivamente alla maniera di Conan il barbaro o di Excalibur, suonava assolutamente nuova e diversa da tutto quello che qua e là avevo rubacchiato sempre a loro, ai più grandi della compagnia di vacanzieri. Mentre la fantasia del piccolo Doc correva verso gli allora quasi incomprensibili territori della sessualità, al tempo stesso la parte razionale del suo cervelletto elaborava silenziosamente un concetto che non l’avrebbe più abbandonato. Quella signora discinta che animava il video nel tardo pomeriggio possedeva qualcosa, oltre alla voce magica, che da quel poco che avevo potuto capire era una merce assai rara nel campo della musica d’intrattenimento: sembrava divertirsi a fare quello che voleva arrivando a sfidare tutto quello che era passato e sarebbe passato dopo di lei sullo schermo a colori. Pazzesca! Babooshka mi entrò dentro agitando i miei sogni e rendendomi anzitempo adulto nel momento di confrontarmi con i coetanei sui rispettivi gusti musicali. <Ma, come? Non conoscete Babooshka? Nah… quello che ascoltate è roba da bambocci. Dovreste vederla come canta, sembra una guerriera fantasy. E poi mentre balla si vede tutto!> Roba per fini intenditori, roba per veri uomini. O meglio per veri piccoli uomini, vista la precoce età a cui ero, mio malgrado, incatenato. Se fossi stato più grande… Ah,se solo lo fossi stato… Il passare degli anni e una cassetta copiata di The Whole Story hanno consolidato quella prima idea e mi hanno portato ad apprezzare fino in fondo l’idea, importantissima a mio giudizio, di indipendenza artistica che accompagnava ed accompagna ancora oggi la carriera della cantante inglese. Con le note Kate ha sempre fatto quello che voleva, sfidando previsioni di mercato e discografici. E ha sempre avuto ragione. Il mio invito, per chiunque si occupi oggi di musica, è di prendere esempio da lei e procedere convinto ad assecondare i propri sogni e progetti in nome della più sublime fonte di intrattenimento e gioia, la musica. Andate sicuri, Doc e la fatina Kate veglieranno su di voi!

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Iggy Pop

L’Iguana dimostra per l’ennesima volta di non avere perso il suo guizzo. Passato di recente con la pubblicazione dell’album Ready to Die a un’etichetta indie, la Fat Possum Records, ora aderisce di cuore alla campagna lanciata da WIN per la dichiarazione per l’equità degli accordi digitali per gli artisti. Alla quarta Conferenza John Peel, che ha avuto luogo la settimana scorsa al Salford Radio Festival, Iggy Pop si è così espresso a riguardo: <le Indie label saranno l’unico posto dove andare per scovare veri nuovi talenti, al di fuori del Mickey Mouse Club e del mondo dello spettacolo piu’ commerciale>. In Italia l’iniziativa è seguita e diffusa da AudioCoop ed ha il volto del sempre attivo e poliedrico rapper capitolino Piotta. [Foto: Matteo Ceschi]

Strut

Ormai non si tratta più di episodi sporadici, ma piuttosto sembra essere in atto una vera e propria fuga dalle major verso le indie label. Dopo i casi eclatanti di Iggy Pop (Fat Possum Records, 2013) e David Crosby (Blue Castle Records, 2014), è ora il turno di Lenny Kravitz tornato finalmente ai livelli d’eccellenza dei primi album (pubblicati dalla Virgin) con il recente Strut, edito dalla neonata etichetta personale Roxie Records. L’ultimo “passaggio” citato, quello di Kravitz, è la dimostrazione evidente di come, in una situazione di pieno e libero controllo artistico del prodotto – quindi lontano dalle pressioni poco artistiche di un mercato discografico in continuo affanno e dai ritmi dei format televisivi – anche artisti che negli ultimi anni hanno – e non se la prendano troppo i diretti interessati – vivacchiato sugli allori possano ora programmare un rilancio sulla scena con i botti (tanto da conquistare nel nostro paese un posto fisso nella Top ten dei singoli e degli album più venduti come si evince dalle classifiche relative pubblicate su Musica&Dischi). Registrando con piacere questi “ritorni”, l’invito che rivolgiamo a tutti è quello di essere, se possibile, ancor di più indipendenti. BE INDIE, BE FREE.

Jay Adams

JAY ADAMS (1961-2014), skateboarder statunitense e membro degli Z-Boys.

<Hey, Jay, questa è tutta per te! Guardrail dei Fu Manchu…>

Gigantoid_easy

PERCHÉ I FU MANCHU: È come se avessero inventato il genere stoner l’altro ieri. Nulla pare essere cambiato dagli anni Novanta, eppure la freschezza e l’incredibile potenza del loro suono non ha perso un milligrammo di aggressività. La band californiana sembra, infatti, scoprire proprio nell’insanabile attaccamento alle radici sonore il piacere di citare con un certa frequenza i Black Sabbath e di concedersi, con grande sorpresa e goduria per l’ascoltatore, felici derive neo-psichedeliche (per la verità già mezze annunciate dalla copertina del disco). Ad ascoltarli sembrano, credetemi sulla parola, una demolition gang intenta a restituire alla natura lo spazio rubato con il sotterfugio dal cemento. Un colpo dopo l’altro vi ripagheranno della noia di averli dovuti aspettare per ben cinque anni!

FU MANCHU, Gigantoid, At the Dojo Records 2014

http://www.fu-manchu.com

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PERCHÉ GLI AFGHAN WHIGS: Se volete qualcosa di più da un disco rock, allora avete proprio sbagliato genere di riferimento o, lasciatevelo dire in tutta franchezza, è arrivato il vostro momento di imbracciare la chitarra e dire la vostra. Greg Dulli e soci, dopo anni di silenzio (sedici per l’esattezza) interrotti solamente da comparsate live a destra e manca per il globo, tornano a fare quello per cui sono nati e non tradiscono le aspettative di quanti nel frattempo avevano consumato dischi e cd degli Afghan Whigs. Un rock rude e dalla maschia poesia ma al tempo stesso capace di un’ampia varietà melodica e ritmica vi inchioderà alle casse dello stereo restituendovi con uno schioppo di dita l’orgoglio di avere difeso la vostra natura di rockers e freaks. THAT’S ROCK FOLKS!

AFGHAN WHIGS, Do to the Beast, Sub Pop 2014

NEWS

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PERCHÉ GLI ANTEA: Non si offenderanno certo gli Antea se l’incipit del loro album ricorda St. Anger dei Metallica. Il quartetto metal genovese proprio dalla band statunitense muove i suoi passi dimenticando, quasi non fossero mai esistite, le incertezze tipiche di ogni esordio. Il resto è – credete il termine non è buttato lì a caso perché suona bene – un’entusiasmante cavalcata epica che di wagneriano non ha nulla solo perché concepita e suonata nel secolo sbagliato. Seguendo però lo schema di un’opera classica, il disco riesce a diluire l’aggressività e la frenesia del trash con la precisione assassina di band come i Korn e i Tool. Non perdete tempo a sorprendervi della loro italica provenienza; correte, invece, a poggiare le orecchie sopra Trepverter.

ANTEA, Trepverter, Taxi Driver Records 2014

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PERCHÉ JOE VALERIANO: Talvolta i dischi sfuggono ai radar dei lettori non per demeriti degli artisti ma piuttosto per disattenzioni discografiche. L’importante, seguendo un onesto fiuto per il bello à la Pier Paolo Pasolini, è recuperare queste gemme e ridare loro il giusto posto nella storia e sugli scaffali dei negozi. Alida, unica parentesi in italiano del bluesman Joe Valeriano, non ha nulla da invidiare per intensità e forza della proposta sonora ai primi e più selvaggi Litfiba. L’album presenta, ed è la prima e, per ora, unica volta nel corso di una lunga carriera, un Valeriano assolutamente a suo agio nelle vesti di cantautore rock ma dimostra anche un’incredibile capacità di sincretismo sonoro in grado di pompare con rispetto l’energia “a stelle e strisce” nella tradizione della canzone nostrana. La Fender di Valeriano appare lusingata dalle profferte italiche e continua a ruggire come se in gioco ci fossero l’onore di Muddy Waters e Jimi Hendrix.

JOE VALERIANO & COLLANT SUPPORT, Elida, Red Rock Ridge Records 1989

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PERCHÉ I TWOO MOONS: Post-punk stratificato e schegge impazzite di new wave tardi anni Ottanta contraddistinguono un lavoro che ricorda per certi versi i più riusciti album dei Radio 4 e per altri il Bowie di China Girl. Ascoltando Elements potrete riconsiderare seriamente la possibilità, spesso trascurata, che il rock sia un genere ballabile. Per i Two Moons lo è a tal punto da farne un rito associativo in cui coinvolgere tutti anche quanti, incautamente avvicinatesi alla loro musica, si sono ritrovati con sorpresa a muoversi dalla cintola in giù. D’altronde negli “elementi” naturali citati nel titoli e ripresi poi nelle singole canzoni il movimento è quanto di più spontaneo e naturale.

TWO MOONS, Elements, Irma Recrods 2014

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GRAUZONE, Eisbär (in Swiss Wave compilation), Off Course Records 1980