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INDIEce-INDIANA

Cari lettori, INDIEce interrompe la sua corsa dopo quasi due anni di agonismo sonoro indipendente. E lo fa per permettermi di concentrarmi maggiormente sul progetto di INDIANA MUSIC MAGAZINE, iniziativa editoriale on-line dedicata alle produzioni indie che porto avanti in maniera più strutturata con le amiche e colleghe Katia Del Savio e Elisa Giovanatti. Ma siate tranquilli, DOC INDIE con la sua rubrica settimanale in stile gonzo continuerà le sue scorribande verbali sul sito del MEI/AudioCoop a conferma di una forte partnership culturale con la creatura di Giordano Sangiorgi. Manterrò attivo il blog come archivio a disposizione di tutti e per nuovi eventuali interventi sulle classifiche indie in attesa della tavola rotonda di Milano del prossimo giugno. I recapiti per contattarmi rimangono gli stessi, ma d’ora in avanti tutto il vostro fluido indie dovrà confluire su INDIANA MUSIC MAGAZINE per dare ancora maggiore visibilità alla musica indipendente italiana e internazionale. È stato bello avervi a bordo e lo sarà ancora di più vedervi arrivare sulle pagine on-line di INDIANA MUSIC MAGAZINE. Let’s Keep in Touch, Be Indie Be Free, Matteo Ceschi/Doc Indie.

INDIEce merges with INDIANA MUSIC MAGAZINE. Contacts remain the same.

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Riprendiamo il discorso da dove ci eravamo lasciati, ma questa volta cerchiamo di indagare non sulla mancanza di originalità ma sulla sua presenza nelle produzioni più recenti. Il disco che mi spinge a questa ennesima riflessione è il doppio dei Death Grips, duo di Sacramento votato all’esplorazione dell’hip-hop hardcore, capace di realizzare un lavoro per molti versi sorprendente utilizzando, drizzate bene le orecchie, solo campioni della voce di Björk allo scopo di ottenere basi ritmiche nuove di zecca. The Powers That B, edito dalla Third World in collaborazione con Caroline International e la Harvest – il mio interesse, per la verità, è rivolto al primo cd, quello intitolato Niggas on the Moon – si accende fin da subito cancellando le scorie tossiche del plagio.

Death Grips_01

Bjork, o meglio alcuni frammenti delle sue più note performance canore, compare nei credits ma presto viene assorbita dalla geniale follia di Stefan BurnettRoland V-Drum, allo voce, e di Zach Hill, il sarto capace di fare (ri)suonare sul suo Roland V-Drum la musa islandese come mai l’avete sentita. Tutto appare estremo in questa prima metà del lavoro – come da tradizione per i Death Grips – ma il featuring virtuale, reso possibile dalla drum machine, dischiude scenari inaspettati: l’originalità trova nella sua nemesi, il recupero di ciò che è già stato suonato, non solo la chiave ma anche il coraggio per spingere oltre l’azzardo sonoro. L’utilizzo del sampling dei Death Grips, una consuetudine tipica della cultura hip-hop e non certo nuova, trova proprio in occasione di Niggas on the Moon rinnovata dignità e antico ardore allontanandosi dalle pericolose gabbie stilistiche in cui artisti come Kanye West l’avevano relegato. La formazione californiana, infatti, trasforma il sampling in un esplosivo featuring 2.0 in cui al tradizionale duetto – “Da vieni, la facciamo insieme!” oppure “Guarda che piazzo in mezzo al mio brano il ritornello della tua song!” – subentra una forma quasi pura di sfrenata fantasia che dà vita a qualcosa di raramente udito. Come dicevo, Björk è presente nel disco, ma lo è in maniera così raffinatamente subliminale e rarefatta da lasciare piacevolmente sconcertati. E questo a dimostrazione di come gli accessi alla via dell’originalità siano ancora numerosi e percorribili. Basta sforzarsi e pensare con la propria testa? Al pubblico piacerà di conseguenza.

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Il punto, ammettiamolo una volta per tutte, non è chi ha copiato chi. La logica ci dice che chi è arrivato dopo necessariamente si è ispirato in una certa misura a qualcuno che ha suonato prima di lui. Il caso di Blurred Lines – gli eredi di Marvin Gaye contro la coppia Pharrell Williams & Robin Thicke – è solo l’ultimo di una lunga serie di plagi o presunti tali e nulla aggiunge al mio giudizio sull’argomento.

De La Soul Is Dead

La black music, in particolare il rap, aveva già fatto i conti con la questione dei samples o delle “scoppiazzature” all’epoca di De La Soul Id Dead del 1991, quando i newyorkesi De La Soul introdussero per prima volta a denti stretti l’usanza di dichiarare (e quindi pagare a chi ne avesse legalmente diritto) tutti i campionamenti utilizzati per la realizzazione dei nuovi brani. Il titolo dell’album rappresentava un’evidente protesta contro la scelta dei discografici che, messi di fronte alle crescenti vendite del rap, si erano visti costretti a rivalutare certi comportamenti “picareschi” tipici della cultura hip-hop per continuare a trarre lauti profitti dai loro protetti. La scelta, rivoluzionaria a suo modo, non inficiò minimamente, bisogna dirlo, il successo del disco che venne eletto tra i migliori prodotti dell’anno solare. In precedenza i Led Zeppelin si erano piegati a una sentenza del 1985 inserendo tra gli autori dell’inno rock Whole Lotta Love anche Willie Dixon. Plagio antico vizio, verrebbe da dire… già! La questione, tuttavia è un’altra e oggi verte tutta su una diffusa mancanza di originalità. Il problema rispetto al passato, infatti, è che oggi la musica manca spesso e volentieri di quel guizzo giusto e quindi anche il più flebile sentore di plagio esplode in maniera assordante. Guerra nucleare! Alle mie orecchie tutta la situazione odierna suona deprimente come, ahimè, la musica che da essa ne scaturisce. Com’è possibile che autori e produttori quotati debbano ricorre a “piccoli sotterfugi” per raggiungere il loro scopo commerciale? È mai possibile che un artista non riesca a pasticciare un po’ con le note senza mettere mano al bigino della storia della popular music? Che è successo al signor Pharrell? Allo stesso signor Pharrell capace non molti anni fa di incredibili e fortunatissimi azzardi sonori? Il successo, e con esso la ricchezza, rende pigri e predispone a una pessima inclinazione dell’animo umano, la furbizia. L’hanno già suonata… l’ho sentita così tante volte sul giradischi di mamma… che male c’è… Giusto qualche nota… Pochi pensieri e la frittata è fatta… Attenzione, qui non si tratta di schierarsi con uno contro o con l’altro. Si tratta, piuttosto, di svegliarsi in tempo da un torpore dilagante prima che tutta la musica finisca in un’aula di tribunale e si riduca a una litania di noiosissime sentenza. E allora, svegliati, cazzo! Tutti quanti! Artisti, discografici e ascoltatori! Pretendete da voi stessi, prima ancora che dagli altri, qualcosa di nuovo e possibilmente – ci vuole sempre, parola di dottore, un po’ di ambizione – di migliore! S-V-E-G-L-I-A-T-E-V-I! Siete ancora in tempo!

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DOC INDIE Monday Time_easy

Dopo la lettura del vostro quotidiano preferito non perdete l’occasione di divertirvi sul vostro smartphone o tablet con le opinioni del dottore più musicale dell’emisfero nord. La rubrica di Doc Indie vi farà sprofondare nel più delirante “gonzo journalism” e renderà la vostra settimana decisamente più indi(e)pendente! Il tutto, ovviamente, GRATIS ogni sacrosanto lunedì!

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Le mie prime fantasie erotiche-musicali – come dottore mi verrebbe scientificamente impossibile parlare di vere e proprie pulsioni – risalgono all’estate del 1980. Seguendo la combriccola dei più grandi e il suoi gusti, mi innamorai a prima vista della Kate Bush “guerriera” del videoclip di Babooshka.

Babooshka cover

Quella musica, agghindata visivamente alla maniera di Conan il barbaro o di Excalibur, suonava assolutamente nuova e diversa da tutto quello che qua e là avevo rubacchiato sempre a loro, ai più grandi della compagnia di vacanzieri. Mentre la fantasia del piccolo Doc correva verso gli allora quasi incomprensibili territori della sessualità, al tempo stesso la parte razionale del suo cervelletto elaborava silenziosamente un concetto che non l’avrebbe più abbandonato. Quella signora discinta che animava il video nel tardo pomeriggio possedeva qualcosa, oltre alla voce magica, che da quel poco che avevo potuto capire era una merce assai rara nel campo della musica d’intrattenimento: sembrava divertirsi a fare quello che voleva arrivando a sfidare tutto quello che era passato e sarebbe passato dopo di lei sullo schermo a colori. Pazzesca! Babooshka mi entrò dentro agitando i miei sogni e rendendomi anzitempo adulto nel momento di confrontarmi con i coetanei sui rispettivi gusti musicali. <Ma, come? Non conoscete Babooshka? Nah… quello che ascoltate è roba da bambocci. Dovreste vederla come canta, sembra una guerriera fantasy. E poi mentre balla si vede tutto!> Roba per fini intenditori, roba per veri uomini. O meglio per veri piccoli uomini, vista la precoce età a cui ero, mio malgrado, incatenato. Se fossi stato più grande… Ah,se solo lo fossi stato… Il passare degli anni e una cassetta copiata di The Whole Story hanno consolidato quella prima idea e mi hanno portato ad apprezzare fino in fondo l’idea, importantissima a mio giudizio, di indipendenza artistica che accompagnava ed accompagna ancora oggi la carriera della cantante inglese. Con le note Kate ha sempre fatto quello che voleva, sfidando previsioni di mercato e discografici. E ha sempre avuto ragione. Il mio invito, per chiunque si occupi oggi di musica, è di prendere esempio da lei e procedere convinto ad assecondare i propri sogni e progetti in nome della più sublime fonte di intrattenimento e gioia, la musica. Andate sicuri, Doc e la fatina Kate veglieranno su di voi!

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