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Riprendiamo il discorso da dove ci eravamo lasciati, ma questa volta cerchiamo di indagare non sulla mancanza di originalità ma sulla sua presenza nelle produzioni più recenti. Il disco che mi spinge a questa ennesima riflessione è il doppio dei Death Grips, duo di Sacramento votato all’esplorazione dell’hip-hop hardcore, capace di realizzare un lavoro per molti versi sorprendente utilizzando, drizzate bene le orecchie, solo campioni della voce di Björk allo scopo di ottenere basi ritmiche nuove di zecca. The Powers That B, edito dalla Third World in collaborazione con Caroline International e la Harvest – il mio interesse, per la verità, è rivolto al primo cd, quello intitolato Niggas on the Moon – si accende fin da subito cancellando le scorie tossiche del plagio.
Bjork, o meglio alcuni frammenti delle sue più note performance canore, compare nei credits ma presto viene assorbita dalla geniale follia di Stefan BurnettRoland V-Drum, allo voce, e di Zach Hill, il sarto capace di fare (ri)suonare sul suo Roland V-Drum la musa islandese come mai l’avete sentita. Tutto appare estremo in questa prima metà del lavoro – come da tradizione per i Death Grips – ma il featuring virtuale, reso possibile dalla drum machine, dischiude scenari inaspettati: l’originalità trova nella sua nemesi, il recupero di ciò che è già stato suonato, non solo la chiave ma anche il coraggio per spingere oltre l’azzardo sonoro. L’utilizzo del sampling dei Death Grips, una consuetudine tipica della cultura hip-hop e non certo nuova, trova proprio in occasione di Niggas on the Moon rinnovata dignità e antico ardore allontanandosi dalle pericolose gabbie stilistiche in cui artisti come Kanye West l’avevano relegato. La formazione californiana, infatti, trasforma il sampling in un esplosivo featuring 2.0 in cui al tradizionale duetto – “Da vieni, la facciamo insieme!” oppure “Guarda che piazzo in mezzo al mio brano il ritornello della tua song!” – subentra una forma quasi pura di sfrenata fantasia che dà vita a qualcosa di raramente udito. Come dicevo, Björk è presente nel disco, ma lo è in maniera così raffinatamente subliminale e rarefatta da lasciare piacevolmente sconcertati. E questo a dimostrazione di come gli accessi alla via dell’originalità siano ancora numerosi e percorribili. Basta sforzarsi e pensare con la propria testa? Al pubblico piacerà di conseguenza.
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“Intrusi” in classifica! Nelle prime cinque posizioni tre brani targati Universal: Caparezza in testa, Carmen Consoli al terzo posto e i Verdena con il nuovissimo singolo, Un po’ esageri, al quinto. I soli Otto Ohm e il rapper Salmo a difendere lo spirito indipendente delle indie label. A questo punto è lecito domandarsi se sia opportuno aprire la classifica del MEI/AudioCoop a tutti quei dischi che “suonano indie” – definizione, diciamocelo, puramente soggettiva – o se, invece, sia meglio continuare a dedicare la chart, l’unica del suo genere in Italia, esclusivamente ai prodotti delle etichette e dei distributori indipendenti. Personalmente ritengo che la seconda via sia la migliore anche considerato il fatto che commistioni di questo genere in passato non hanno portato molto bene alla musica. Forse conviene fare i superstiziosi e tornare alle vecchie abitudini… Firmato, DOC INDIE. “BE INDIE BE FREE!”
Sono aperto a suggerimenti e opinioni. Voi cosa ne pensate?
GIORDANO SANGIORGI (MEI/AUDIOCOOP): Caro DOC, tieni conto che rimanendo “duri & puri” per farci un’opinione si rischierebbe di avere in classifica i Modà e non, per esempio, i Verdena che hai appena citato: tu che sceglieresti? Il nostro intento è quello di ricalibrare il tutto naturalmente. Forse, ci vorrà un po’ di tempo e il dibattito sicuramente potrà aiutare in questa direzione.
DOC INDIE: Ciao Giordano, e se confronto ci debba essere che sia costruttivo! Capisco il tuo punto di vista ma rimango sempre con qualche profonodo dubbio a riguardo. Come vedi c’è sempre l’insidioso rischio di vedere i propri giudizi e gusti personali prevalere sull’oggettivo stato delle cose. Quello che percepisco con il mio stetoscopio musicale è il “pericolo” di inimicarsi una grossa fetta di utenza che, a prescindere dai gusti, ha tutti i diritti a essere nella classifica e a non vedere di buon occhio l’intrusione delle major nel loro orticello. BE INDIE BE FREE!
ROSA PIPPA (RADIO COLOR): io credo che in un momento storico come questo per la musica italiana, vuota e frivola, la musica indie è la luce in fondo al tunnel. Brunori, Stato Sociale ecc. e tutto il booking Tempesta sono la salvezza italiana.
GIORDANO SANGIORGI: Concordo, infatti molte produzioni La Tempesta sono distribuite Universal in una virtuosa collaborazione indie-major.
DOC INDIE: penso che si debba fare un bel distinguo tra una collaborazione indie-major per la distribuzione presente in una indie chart e un prodotto esclusivamente realizzato e distribuito da una major. Ho sempre visto di buon occhio il primo tipo di collaborazioni. Non hanno mai causato alcun male, anzi. E ciò perché in questo tipo di partnership si conserva gelosamente tutta l’indipendenza creativa della piccola discografia. Nel caso citato di Caprezza & Company, sinceramente non riscontro nessuno dei rischi connessi a un’impresa discografica indipendente; si gioca sul sicuro nella consapevolezza di ottenere comunque un responso dal pubblico. E questo grazie a un vantaggio enorme nella comunicazione e nel marketing. Per un artista indie auto-prodotto o edito da una piccola label la presenza di rischi è notevolmente maggiore ed inversamente proporzionale alle risorse investite. Questo binomio, apparentemente letale, invece, spesso porta alla creazioni di prodotti di altissimo livello che meriterebbero una classifica tutta loro. BE INDIE BE FREE!
INDIANA MUSIC MAGAZINE: Concordiamo con Doc Indie sul fatto che si debbano distinguere le produzioni indipendenti distribuite da una major e quelle pubblicate direttamente da una major. Le prime, a nostro avviso, possono tranquillamente entrare nella classifica, le seconde no. Fare un distinguo di tipo artistico su ciò che è indie e ciò che non lo è diventa troppo soggettivo e se i Modà pubblicano per un’etichetta indie è giusto che rientrino nella categoria. Secondo noi non sta a chi stila classifiche giudicare la qualità di un prodotto, a meno che non si faccia esplicitamente una classifica in base al proprio gradimento, come può essere la playlist che ogni mese pubblichiamo su Indiana, ma allora bisogna specificarlo. L’escamotage potrebbe essere quello di chiamare la classifica, anziché indie, “alternativa”. Katia Del Savio ed Elisa Giovanatti di Indianamusicmag.
GIORDANO SANGIORGI: Credo si possa fare in questo modo molto semplice: dalla classifica attuale – dove tra l’altro sono presenti proprio tutti, nessuno escluso,purché si parta da una produzione indipendente – si tolgono mentre la si legge gli artisti major di attitudine indie e si ha immediatamente anche l’altra classifica.
DOC INDIE: La cosa andrebbe comunque ben specificato. Così comunque si correrebbe il rischio di avere due podi diversi sovrapposti o ancora peggio una classifica di “Seria A” e una di “Serie B”. Sa tanto di F1 della metà degli anni Ottanta quando gareggiavano propulsori turbo e aspirati e venivano, per l’appunto, stilate due differenti classifiche. Mah… non voglio sembrare troppo partigiano – faccio parte anch’io di INDIANA MUSIC MAGAZINE quando smetto i panni del dottore musicale – ma preferisco una soluzione stile “indiano.”
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