![Doc Indie-MEI DEF_easy](https://indiece1974.wordpress.com/wp-content/uploads/2015/01/doc-indie-mei-def_easy.jpg?w=523&h=523)
Una rapida ed obiettiva analisi della produzione musicale degli ultimi trent’anni rivela come l’evoluzione stilistica del metal abbia sicuramente rappresentato e continui a rappresentare, sia per la capacità degli artisti coinvolti sia per la fedeltà e la preparazione dei fan, un importante punto di riferimento, se non addirittura un’ancora di salvezza, per la popular music.
![heavy metal islam](https://indiece1974.wordpress.com/wp-content/uploads/2015/02/heavy-metal-islam.jpg?w=523&h=814)
Ed è proprio questa capacità di continua metamorfosi e adattamento che ha permesso al genere di accedere, anche grazie una maggiore presenza sui canali satellitari e su internet, a una platea planetaria che abbraccia, non più solo idealmente, tutti i continenti. L’acquisizione dell’etichetta “popular,” infatti, se da un lato ha aumentato esponenzialmente la portata commerciale del fenomeno — è ormai un dato di fatto la certificazione di milioni di copie vendute e la presenza di brani nelle top ten — dall’altro non sembra avere intaccato una delle maggiori peculiarità del metal: rimanere uno dei canali privilegiati, molto più del pop e del rock, attraverso cui esprimere forme, talvolta rabbiose, di profondo disagio sociale. Sempre più spesso troviamo conferma di questa importante funzione sociale — o come la definirebbero puntigliosamente i sociologi, quasi-sociale — al di fuori della sfera culturale occidentale, ad esempio in Cina, in India, in Pakistan, nel Medio oriente, nel Maghreb e persino in alcune realtà marginali come lo stato africano del Botswana. Costretta a convivere con l’oppressione di regimi più o meno “sorridenti” e con la pesante eredità di conflitti mai realmente sopiti, la fascia di popolazione al di sotto dei 25 anni di queste aree del mondo ha abbracciato spontaneamente l’heavy metal in quanto in esso ha trovato il migliore mezzo espressivo per presentare/rappresentare a se stessa e al mondo intero condizioni di vita estreme, in tutti i sensi heavy metal, sotto tutti i punti di vista. Rabbioso e violento nelle sue manifestazioni esteriori, il metal è diventato nel giro di tre lustri un’importante cassa di risonanza per quanti ancora combattono per fare valere i propri diritti e per sconfiggere ogni sorta di discriminazioni. Per questi stessi motivi il metal globalizzato e i suoi adepti sono finiti sotto l’occhio vigile della censura dei regimi restii a sopportare la diffusione incontrollata di idee proibite contrarie a rigidi modelli comportamentali e morali ma soprattutto portatrici di valori profondamente in contrasto con i fondamenti dell’autoritarismo, sia esso di natura politica, militare o religiosa. In questa precisa prospettiva, ad esempio, il metal offre una visione alternativa della società in opposizione sia a quella integralista, l’islam violento della Jihad, sia al modello laico totalitario dei regimi corrotti aperti alle ingerenze delle potenze occidentali e si candida a diventare un possibile e potente vettore del processo di democratizzazione. La visione dell’altro e le alternative proposte non necessariamente coincidono, come sottolinea in Heavy Metal Islam (2008) lo studioso e musicista Mark LeVine, con modelli condivisibili dall’Occidente, ma potrebbero comunque contribuire con il passare del tempo a stemperare i toni eccessivamente infuocati dello scontro tra le civiltà e facilitare l’apertura di nuovi canali di comunicazione tra “noi e loro”. Un buon punto di partenza potrebbe essere fornito dalle tematiche ambientaliste proposte da alcuni artisti visto che proprio gli abitanti di quegli stati dov’è più forte l’esigenza di cambiamento e la richiesta di giustizia sociale sono da decenni le vittime predestinate degli eco-disastri e degli insaziabili appetiti delle corporations statunitensi ed europee.
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